giovedì 23 maggio 2013

“Mamma...poco poco”... la storia di Patrizia e Santiago


Mia mamma dice sempre a tutti che io ho preso il suo latte fino a due anni abbondanti.

Dice che le tiravo la maglietta e le dicevo “Mamma...poco poco”
Io sorrido sempre quando lo racconta.
E’ per questo, dice, che ho le ossa forti. Poi dice anche sempre che un giorno ha bussato alla testata del letto e mi ha detto “Chi è? Uuuh é il vecchietto. Ha detto che oramai sei grande e non devi più ciucciare”.
E da allora ho smesso di bere il latte di mamma, senza nessun tipo di trauma.

A me nessuno aveva detto che il dolore dell’allattamento sarebbe stato uno dei dolori più dolorosi.
Più delle contrazioni. Veramente nessuno mi aveva detto nemmeno che le contrazioni sarebbero state così dolorose.
Ma l’allattamento.

Quando Santiago è uscito, la prima cosa che ho pensato è stata “Oh noo…ha il mio naso!”
Poi me lo hanno messo sulla pancia, lui ha tirato su la testa in cerca della mia tetta e la seconda cosa che ho pensato è stata: “Ma…ma…vuole già mangiare???”
L’ostetrica me lo ha attaccato e lui ha iniziato a ciucciare come se non mangiasse da mesi.
Istinto animale, ho pensato.
Lo ammetto: mi sono sentita subito una figa ed ero felice perché sapevo storie di bambini che non si attaccano, non ciucciano, che fanno fatica.

Mi è sembrata subito la cosa più naturale del mondo, a parte avere, il giorno dopo, occhi di amici, parenti, conoscenti e passanti puntati sulle mie tette. Ecco quello è meno naturale. Cioè di colpo tutti guardano il bambino, e subito dopo, il bambino attaccato alle tue tette. E tu che fino a poco tempo fa…voglio dire, non è che sia la cosa più naturale del mondo stare con le tette di fuori.
A meno che tu non sia una cultrice del topless.

Due giorni dopo avevo i capezzoli in fiamme. Da lì capii che forse tanto figa non lo ero.
C’era qualcosa che probabilmente sbagliavo. Ma non sapevo che il peggio doveva ancora arrivare.
Di natura sono una che non ama disturbare, quindi ho chiamato poche volte le ostetriche perché pensavo, da stupida, che una mamma deve saper allattare da sola, seguendo la natura. Come fanno i gatti, i cani, e tutti gli altri animali che allattano, di cui non ricordo le specie.
Poi avevo sempre mani e dita di mamme, nonne, papà, nonni, zie, cugine infilate tra la bocca di mio figlio e la mia tetta: ”Mettilo su, guarda che non respira, tienilo alto, tienilo basso, attenta alla mano, ma mangia di nuovo? ma non avrà mica fame? mettiti sulla sedia, sulla poltrona, nel letto…”
E quindi le prime poppate sono state più cha altro uno stress acrobatico da circo con un bel sorriso di circostanza appiccicato alla bocca.
I primi mesi, lo dico in tutta onestà, sono stati una vera prova di resistenza al dolore e di educazione per non mandare a cagare qualcuno.

Io avevo deciso di allattare. E non sono mai stata così determinata in tutta la mia vita.
Volevo che anche Santiago avesse le ossa forti come le mie.
Ho pianto tanto. Ho pianto perché i miei capezzoli si erano tutti tagliati. Ma a Santiago sembrava che la cosa non fregasse minimamente.
Ecco quella è stata la mia forza. Lo guardavo ciucciare per resistere.
Ricordo che quando si avvicinava l’ora della poppata o quando mugugnava perché aveva fame, io iniziavo a sudare. A tremare. Mi uscivano le lacrime e mi irrigidivo tutta. Temporeggiavo, respiravo, lo avvicinavo e quando vedevo quella boccuccia che si faceva enorme, e che da lì a poco avrebbe succhiato con tutte le sue forze procurandomi ulteriori tagli., beh in quei momenti allattare non era tanto naturale.
Per me non sono esistiti pensieri tipo: ”Non avrò il latte”. Per me, mia nonna ha allattato, mia mamma ha allattato, mia zia ha allattato, mia sorella ha allattato. E io avrei allattato. Io volevo allattare.
Una specie di tradizione di famiglia.
La cosa che mi ha aiutata tanto, a parte la determinazione, era sentire mia mamma che stringendomi la mano mi diceva: ”Ci siamo passate tutte” o mia sorella che mi precedeva di 5 mesi che mi diceva: ”Tranquilla davvero, guarda che poi passa” o mia zia “A me usciva il sangue dai capezzoli, quello non è niente” o ancora l’ostetrica che mi incoraggiava come si incoraggia un atleta stremato vicino al traguardo.
Non ricordo quando il dolore è finito.
Ricordo solo che a un certo punto, all’improvviso, è diventato tutto un piacere.
L’ora della poppata era un momento intimo, magico, surreale. Vedere Santi che si addormentava con la tetta in bocca, o che ciucciava come un forsennato sbrodolandosi il latte dalla guance.
In quei momenti del resto del mondo non mi fregava niente.
Ho allattato ovunque. Persino intrufolata in una palazzine del centro città, seduta sui gradini freddi di pietra della scalinata principale. Santi non poteva aspettare.
E una delle cose più belle sono i sorrisi complici che ci si scambia con le donne, quando ti vedono farti cibo per il tuo bimbo.

Santi adesso ha tredici mesi. Ciuccia al mattino, alla sera prima di andare a nanna e ogni volta che ne abbiamo voglia. A me non frega dei pareri di nessuno. Mi sono affidata al mio istinto.
E beh ovviamente anche alle ostetriche, che sono le uniche figure professionali a cui ho deciso di affidarmi.
Quando mi chiedono: ”Ma ciuccia ancora???” A parte pensare “Ma fatti i c. tuoi” rispondo: “Si” con un bel sorriso, come a dire ”Ma certo, perché non dovrebbe???”
Il latte non è mai andato via, nemmeno quando ho attraversato un fortissimo periodo di stress.
Che non è la casa in disordine.

A volte guardo Santi che orami è quasi un ometto e gli dico “Santi forse è il caso di piantarla un po’ lì”
Ma poi lui mi sale in braccio, mi tira la maglietta e mi guarda come per dire ”Mamma…poco poco”
Vabbè Santi, aspetteremo quando un giorno passerà il vecchietto da queste parti…