mercoledì 17 giugno 2015

Quando una madre nasce, la vita si sdoppia... la storia di latte di Simina


Ero alla 34esima settimana e non ero pronta. Pensavo fosse incontinenza e invece erano le membrane rotte. Non avevo nulla di pronto. Allagai la casa in cerca dei body e delle tutine, ancora da stirare e piegare. In qualche modo persi i sensi, per recuperarli molti giorni dopo. Un automa, a cui dire cosa fare e pensare. Questo lo posso dire solo ora, a distanza di 17 mesi quasi, ma allora credo fosse mera sopravvivenza. Quando mi portarono il mostriciattolo in stanza, il giorno dopo, non capivo chi fosse. O meglio, sapevo fosse mio figlio. Ma non provavo nulla. Mi faceva solo ridere, perché era bruttino e rugoso. La sera, il mio compagno mi riportò a trovarlo e di nuovo non lo riconobbi come parte di me, per un attimo temetti che me l'avessero scambiato, ma Fabrizio mi rassicurò. Cominciai ad avvicinarmi un po' a lui quando mi attaccarono al tiralatte. In quei 10 ml di colostro c'era tutto l'inizio della mia vita da madre. I dieci giorni di degenza che seguirono, furono scanditi dagli infiniti tentativi di attaccarlo al seno e dal rumore del tiralatte. Provai anche a chiedere aiuto, ma smisi dopo che un'infermiera strinse fortissimo il piedino di Emil per fargli male di modo che piangendo aprisse la bocca e, a tradimento, gli infilasse il mio capezzolo in bocca. Una volta tornati a casa, la nostra storia continuò piuttosto bene. Il tiralatte era il mio miglior amico, anche se prima di ogni bibe continuavo a proporgli il seno, giorno e notte. I risultati però, erano sempre gli stessi. Una ciucciatina e si addormentava stremato dalla fatica. I giorni passavano e pian piano la produzione di latte sembrava diminuire. Erano apparse in casa anche delle scatole di latte artificiale e ogni tanto il mantra era “Non è mai morto nessuno di latte artificiale!”. Io stessa cercavo di convincermi, mentre vedevo aumentare il fabbisogno di Emil e diminuire la mia capacità di nutrirlo, di essere sua madre. Il latte rappresentava la mia indulgenza. Dovevo farmi perdonare perché il mio corpo l'ha espulso prima del tempo, perché ho permesso che me lo portassero via, per non averlo amato sin dall'inizio. Guardavo le foto di altre mamme che allattavano i piccoli e mi sentivo mamma a metà, e anche meno. Nel suo quarantesimo giorno di vita ho vissuto il momento più brutto ma anche il più bello. Come al solito, la mattina mi attaccai all'aggeggio, 30 ml in 3 ore. Decisi di smettere di illudermi e di mettermi il cuore in pace. L'avrei coccolato, baciato e abbracciato, fino allo sfinimento. Avrei trovato il modo per compensare. Verso le 7 di sera, decisi di darci un'ultima possibilità. Io e lui, sul divano e.... si attaccò al seno per non staccarsi mai più, rivelandosi un ottimo ciucciatore. Non ho ancora trovato le parole che meglio identificassero quel momento. Vi risparmio gli aneddoti con i vari operatori sanitari, perché nulla conta più. Quando una madre nasce, la vita si sdoppia, ed il latte materno diventa il giro di boa tra la vita terrena e quella in paradiso. Sì, per me è stato un po' come morire dolcemente e riaffacciarmi alla vita nuova, pulita e nel mio piccolo farò il possibile perché nessuna mamma debba rinunciare alla sua vita di latte, di amore e di vita stessa.